Ma li difende il numero
Buongiorno, dottor Parsi. Questo, se non sbaglio, è il suo terzo libro dedicato a Giovenale. Sul secondo, però, non ho avuto modo di svolgere la consueta intervista... Ne sono molto dispiaciuta, ma cercherò di rimediare con questa.
E' proprio così, non si sbaglia: su questo grande poeta satirico latino ho composto una trilogia. Il primo libro, come senz'altro ricorderà, era un romanzo, in cui cercavo di ricostruire le vicende della sua vita – alcune ufficialmente ignote o controverse – integrate da una buona dose della mia fantasia, con esiti che io ritengo, in ogni caso, congruenti e verosimili. Il secondo e il terzo – ossia questo – sono dei saggi letterari, in cui dibatto e mi sforzo di risolvere alcuni problemi esegetici riguardanti aspetti poetici e ideologici.
Per
prima cosa mi tolga una curiosità: perché un interesse così
spiccato per uno scrittore latino vissuto, più o meno, mille e
novecento anni fa?
Per
tre motivi. Innanzi tutto perché è di un'attualità sconcertante:
si può essere d'accordo o in disaccordo con le tesi da lui
sostenute, ma è innegabile che la polemica contro le donne
(specialmente quelle di alta condizione sociale), la critica
dell'omosessualità e il rifiuto dei flussi migratori che riempivano
Roma di una folla di accattoni e di loschi figuri Greci, africani ed
orientali costituiscono dei temi che, in un modo o nell'altro, sono
anche oggi all'ordine del giorno. Poi, perché le sue idee sono
controcorrente e a me sono sempre piaciute le persone che non
vogliono farsi omologare e diventare succubi di un'ideologia
dominante, che tenda a proporsi come pensiero unico. Infine, per la
sua completa padronanza dello stile espressivo, molto concettoso, di
cui è una testimonianza inconfutabile il grande numero dei suoi
versi, che sono entrati nell'uso comune come sentenze proverbiali.
Può
spiegare ai lettori quali finalità voleva raggiungere componendo
questo saggio?
Arrivare
a formulare una conclusione chiara su un problema intorno al quale è
stato sollevato un gran polverone, cioè la presunta e da molti
conclamata omofobia di Giovenale, tenendo comunque sempre presente il
sacrosanto concetto che ogni scrittore va giudicato sulla base dei
parametri ideali, delle convinzioni e dei valori morali esistenti nel
luogo e nel periodo in cui è vissuto: nella Roma di allora il
concetto di omofobia era assolutamente inconcepibile.
Ma...
nella Roma di oggi?
Il
mio libro contiene la risposta esauriente alla sua domanda: no, a mio
parere non era per niente omofobo. Nella seconda satira, che io
presento integralmente nella mia traduzione italiana, il poeta di
Aquino critica ferocemente gli omosessuali passivi, che si atteggiano
– in base a quale principio? – a severi censori dell'immoralità
altrui, sia che si tratti di loro colleghi omosessuali, sia che si
tratti di donne di facili costumi. Invece si mostra comprensivo nei
riguardi degli altri, quelli che, più sinceri ed autentici, non
vogliono camuffare la loro condizione ma si mostrano apertamente come
sono: verso di loro ha degli accenti di pietà, riconoscendo che la
responsabilità delle loro tendenze ricade sulla natura.
E
di quelli... attivi? Non ne parla?
Per
quanto concerne gli omosessuali attivi, essi non sono trattati nella
seconda satira, su cui mi concentro in questo libro, ma nella nona,
l'unica scritta sotto forma di dialogo. Non so se si ricorda: il
protagonista è il turpe Nevolo, che esplica la sua virilità nei
confronti del suo cliente – un omosessuale passivo – e della sua
gentile consorte, che suo marito, ovviamente, non è in grado di
soddisfare. Beh certo, l'autore usa un tono gelido e distaccato, come
se volesse far capire a noi lettori che sta prendendo le distanze da
quel personaggio, però non escludo che si possa leggere tra le righe
una dose – minima quanto si vuole, ma reale – di comprensione per
le accuse che quello rivolge all'ingratitudine del suo “datore di
lavoro”.
Nel suo saggio si parla solo di questo argomento?
No: confuto la calunnia di una presunta omosessualità dello scrittore – è stato insinuato anche questo – e spiego l'ambigua allusione fatta da Marziale in un epigramma indirizzato all'amico Giovenale. Infine dedico l'ultimo capitolo a controbattere le critiche che gli ha rivolto un filosofo del calibro di Benedetto Croce.
Bene.
Adesso non mi resta che leggerlo. Grazie della sua cortesia e... alla
prossima.
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